Il martirio dei santi Cosma e Damiano - La Festa dei Santi Medici di Alberobello - Iconografia e Venerazione dei santi Cosma e Damiano-La Basilica

Patroni di Alberobello
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Centro Studi Internazionali Pierre Julien
titolo del sito del comitato feste patronali di Alberobello
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COMITATO FESTE PATRONALI ALBEROBELLO - SITO UFFICIALE
ICONOGRAFIA E VENERAZIONE DEI SANTI MEDICI COSMA E DAMIANO
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Il martirio dei santi Cosma e Damiano

e persecuzioni, vere tormente che periodicamente investirono i cristiani, hanno lasciato, nelle pagine della religione cristiana, scritti i nomi di molti martiri e, tra le migliaia di migliaia, quelli dei nostri campioni, la cui mirabolante opera non passò inosservata alle autorità del luogo, a cui va aggiunto l'astio di quanti non riuscivano ad emularli nella bravura professionale e di quei pagani che non si rassegnarono a vedere crescere il consenso che Cosma e Damiano sapevano generare intorno a sé, sia con le guarigioni che con la continua attività di cristianizzare coloro che avvicinavano.
Essi vennero arrestati per le delazioni dei rivali in medicina e dei competitori abietti del mondo pagano e trascinati nei tribunali [5]. La celebrità di Cosma e Damiano continuava a destare i sospetti e le gelosie dei pagani, che ritennero provvidenziali le persecuzioni di Diocleziano per vederli spazzati via, compreso l'altro personaggio scomodo, il vescovo Zenobio. Quello di Cosma e Damiano fu un martirio annunciato; essi, senza alcuna colpa, contribuirono al trapasso anche dei loro tre giovani fratelli, Antimo, Leonzio ed Eupreprio. Il tiranno era a conoscenza delle qualità dei due prodigiosi guaritori e, con il suo ostinato e impervio modo di fare, li fece incatenare e condurre nella sua dimora per interrogarli. Dopo l'interrogatorio da parte dello stesso Lisia i Nostri furono condotti, senza alcun riguardo, nelle sale del dolore, ove altri gemevano per le sofferenze inferte. Cosma e Damiano, scorgendoli inermi e disperati, li incoraggiarono a pregare perché anche a loro, di lì a poco, sarebbero state comminate pene insopportabili, ma essi non disperavano, il Signore sarebbe intervenuto in loro aiuto. Dapprima, crudelmente percossi con verghe e dilaniati con i pettini di ferro dagli esecutori del magistrato romano, che animava egli stesso i manigoldi, poi, legati mani e piedi su un eculeo, strumento di tortura, vennero con forza allungati dai carnefici per slogare gli arti e quei malvagi non desistettero fino a quando si accorsero di essere arrivati ad un punto che sarebbe stato impossibile continuare lo strazio e, non
sentendo lamento alcuno, allentarono l'atroce patimento. Fallito il tentativo di farli desistere dalle loro forsennate decisioni di continuare a credere nel Cristo, il proconsole chiamò a sé i carnefici e dettò il da farsi per disfarsi dei due incomodi, con orribili supplizi. Poscia, dall'alto di una rupe, legati mani e piedi, Cosma e Damiano vennero catapultati nelle acque profonde del mare perché annegassero. Non volendo che i due perissero, il Signore subito inviò due angeli che amorevolmente li trassero sani dalle acque e, senza che si fossero bagnati, li collocarono sulla riva. Nuovamente catturati, condotti davanti al magistrato, che restò oltremodo stupito, non sapendo che era stato Gesù, al quale il mare e la terra ubbidiscono e che aveva guidato il prodigio, quegli pensò che i santi si erano liberati per un'arte diabolica ed escogitò un nuovo modo con cui disfarsi. Fallito quest'altro tentativo di supplizio il prefetto pensò ad un'altro modo di disfarsi dai condannati escogitando il sipplizio classico del rogo. L'indomani, qundi, senza indugio, li condannò al rogo. Fece riempire tosto una fornace e ordinò che fosse ricolma di legna da ardere; appena i due fratelli furono prossimi, vennero issati e scaraventati nel fuoco. Dio che non abbandonò in quel frangente i figli, non permise alle fiamme di bruciare neanche un capello, mentre essi lo lodarono e lo ringraziarono. Un altro prodigio si verificò, ma ancora non completo del tutto. Le fiamme eruppero dall'usciale, avvilupparono repentinamente gran parte dei pagani che erano convenuti per seguire l'infausta scena e la incenerirono. Il prefetto divenne sospettoso, ebbe paura, ma non si ravvide; essendo pieno di collera, confuso perché non capiva che quei fatti strabillianti erano prove di interventi divini, accecato ancor più e irritato per la sua impotenza nello sterminio ai carnefici un'altro supplizio. La vendetta cadè sull'atrocità delle frecce. Comandò che fossero legati ai pali, come bersagli umani, per essere saettati. A morire furono gli arcieri che vennero colpiti dalle frecce che essi stessi avevano scoccato; infatti le frecce una volta saettate, anziché colpire i corpi, tornavano indietro e infilzavano gli esecutori degli ordini del governatore, che mal comprese, ancora una volta, la volontà del Signore a quale sarebbe piaciuto il suo ravvedimento. Sempre pili bilioso e irritabile per gli insuccessi e impaziente di voler superare la divina virtù con la sua malizia, volle che venissero lapidati, la qualcosa ebbe l'esito non dissimile dal precedente martirio.

Di fronte a tanta impotenza, Lisia dispose la decapitazione. I giovani, che si avviavano all'ultima tribolazione e che avrebbe posto fine ai loro giorni, anziché contristati, esultavano, pronunciavano lodi a Dio che si degnò di onorarli con la palma del martirio e alla scure presentarono il loro innocente capo che venne reciso e Iddio, Gesù e gli angeli li attesero gaudenti per porger loro la corona della gloria. Quel giorno non furono soli, Lisia volle sbarazzarsi degli altri tre fratelli che si professarono cristiani e la decapitazione li rese martiri. I corpi esanimi vennero ricomposti da persone religiose e sepolti in loco venerabili non longe a civitate Aegaea, in un cimitero non lontano da Egea. Nel momento della sepoltura, riaffiorò agli astanti il giuramento fatto da Cosma al fratello di non voler essere seppellito insieme con lui, inviso per aver accettato dalla nobildonna Palladia le uova. Si stava iniziando il pietoso ufficio della sepoltura, quando comparve il cammello, che venne rimesso in salute da Cosma, e con voce umana parlò ai presenti per volontà divina: Nolite eos separare a sepoltura, quia non sunt separati a merito, non vogliate separare nella tomba coloro che il merito non separò. Trasecolarono tutti dinanzi al soprannaturale evento e rispettarono la volontà del Signore.
Il Beato Angelico, nella predella della Pala di San Marco, ante 1443, collocata nel Museo di San Marco, Ospizio dei Pellegrini, in uno splendido dipinto, ha effigiato la sepoltura dei cinque fratelli in un'unica fossa, presente il cammello parlante e, come in un fumetto, compaiono le parole pronunciate, mentre i testimoni manifestano la loro sorpresa.
Anche il pittore alberobellese Francesco De Biase (1862-1937) si è cimentato nella raffigurazione del ciclo del martirio. Le sue opere sono allocate in alto nell'abside della Basilica-Santuario della parrocchia dei santi Cosma e Damiano di Alberobello.
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